La Consulenza Tecnica d’Ufficio non può ricondursi, in quanto tale, alla nozione di “fatto storico”

Così si è espressa la sesta sezione civile della Cassazione, con ordinanza n. 12387 del 24 giugno 2020.

Lamentava il ricorrente, ai sensi dell’articolo 360, comma 1° n. 5) c.p.c., che la Corte d’Appello di Roma avrebbe omesso l’esame di un fatto storico decisivo per il giudizio, avendo valutato illogicamente e contraddittoriamente i contenuti della consulenza tecnica d’ufficio espletata nel primo grado di giudizio.

Gli ermellini, ricordando preliminarmente che la deduzione del vizio specifico di cui al citato articolo deve essere accompagnata dall’indicazione del “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, del “dato” testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, del “come” e il “quando” tale fatto storico sia stato oggetto di discussione tra le parti e, infine, della sua “decisività”, ha ribadito che il fatto storico preso in considerazione dalla norma è un accadimento fenomenico esterno alla dinamica propria del processo.

Non così può considerarsi la CTU, che al contrario è “fatto o a atto processuale”, che costituisce un elemento istruttorio da cui è solo possibile indurre il fatto storico rilevato o accertato dal consulente.

Ne deriva che l’esame che il Giudice compie della CTU – abbia essa la funzione di ausilio nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza c.d. deducente) o assurga essa a fonte di prova dell’accertamento dei fatti (consulenza c.d. percipiente) – non coincide con l’esame del fatto storico decisivo la cui omissione costituisce vizio specifico denunciabile  per cassazione.

In altre parole, una censura che si limiti a contestare la valutazione fatta dal giudice delle risultanze della consulenza, senza che sia indicato il fatto storico decisivo non valutato nei precedenti gradi di giudizio, si risolve in un vizio di motivazione non riconducibile al paradigma di cui all’articolo 360, comma 1°, n. 5) c.p.c.

Lecco, 21 luglio 2020

Avv. Fabio Brusadelli