Non è risarcibile nel nostro ordinamento il danno da “perdita della vita”.

Articoli 2043 e 2059 c.c. – Articoli 2, 3, 32 Cost.

La sesta sezione civile della Cassazione, con ordinanza n. 13261 del 1° luglio 2020, si è pronunciata su un tema già affrontato dalle Sezioni Unite nel 2015: la risarcibilità  – jure hereditario – del danno da “perdita della vita”.

Il caso: il padre di un ragazzo quindicenne, tragicamente deceduto in un sinistro stradale, ha convenuto avanti il Tribunale di Venezia una compagnia di assicurazione chiedendo, tra l’altro, il risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla vittima, il cui credito risarcitorio era stato a lui trasmesso jure hereditario. Soccombente in primo e secondo grado, il ricorrente insisteva in cassazione assumendo che tale danno doveva essere risarcito a prescindere da una lesione della salute ed anche nel caso in cui l’evento morte sia immediato o comunque la vittima abbia trascorso gli ultimi istanti di vita in stato di incoscienza (sulla scorta di Cass. n. 1716 del 7 febbraio 2012).

Nel rigettare il ricorso la Corte di Cassazione ha richiamato e condiviso l’insegnamento di cui alla sentenza n. 15350 del 22 luglio 2015 delle Sezioni Unite, secondo la quale non è risarcibile nel nostro ordinamento il danno “da perdita della vita”, poiché non è sostenibile che un diritto sorga nello stesso momento in cui si estingua chi dovrebbe esserne titolare.

Aggiunge la Corte che dal punto di vista del diritto civile la morte di una persona può costituire un danno non patrimoniale per chi le sopravvive, e non per chi viene a mancare. Il danno preteso dal ricorrente è trattato dunque alla stregua di un credito inesistente, che come tale non può essere vantato dall’erede.

Lecco 22 settembre 2020   

Avv. Fabio Brusadelli